Radicali – Il metodo democratico

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IL PICCOLO (Trieste) 13/08/2013 – Radicali, il metodo democratico

Cari compagni, cara segreteria del Pd, di fronte all’impossibilità di ospitarci all’interno della vostra festa democratica, per raccogliere le firme sulla proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia, mi permetto di fare due osservazioni, una di metodo e una di merito. Da sempre Radio Radicale, o meglio radio Pd, radio Berlusconi e Bossi, radio Grillo o Vendola, attraverso la trasmissione in diretta delle sedute parlamentari, dei congressi di tutti i partiti, dei movimenti o delle associazioni, ma anche con le conferenze stampa, i convegni e le interviste di tutti gli esponenti politici ed istituzionali, “ospita” tutti i giorni dell’anno, tutte le ore del giorno, le iniziative politiche e le opinioni, contrarie o favorevoli che siano, con le nostre battaglie.

Questo è il metodo radicale, la battaglia politica ha bisogno oltre che di forza, convinzione ed iniziativa anche di un interlocutore altrettanto determinato, che possa esprimere in totale libertà opinioni ed iniziative diverse o alternative alle nostre, perché solo attraverso il confronto che i cittadini potranno arrivare a formarsi un’opinione non superficiale per ottenere successivamente, con un voto e con una legge, un’unità più alta e duratura pur nel rispetto delle differenti visioni politiche. Quello che avevamo chiesto, in altre parole, era di poter svolgere quel servizio pubblico che è la raccolta delle firme, cioè offrire la possibilità al cittadino, che lo vuole, all’elettore, all’iscritto o al simpatizzante di partito, di essere promotore di una proposta di legge, al pari di un deputato. Il Pd locale, invece, ci nega esattamente quello che a Roma lo stesso Pd non ha avuto alcun problema ad offrire ai radicali.

Con estremo rammarico ne prendiamo atto. Vorrà dire che questo servizio, lo renderemo possibile fuori dal recinto della festa democratica così come per i 12 referendum che vogliono superare le fallimentari politiche su immigrazione e droghe, riformare la giustizia, ottenere il divorzio breve, ripensare i finanziamenti alla politica e alle confessioni religiose. Nel merito, chiudere la porta alla legalizzazione dell’eutanasia, come per il divorzio, l’aborto o come anche per le droghe, per parlare di un altro tema tabù, vuol dire semplicemente favorire il fenomeno dell’eutanasia clandestina come prima clandestino era il divorzio o l’aborto e come oggi sono vietate e clandestine le droghe.

Queste realtà saranno illegali, soggette ad abusi, praticate senza regole, con i ringraziamenti delle organizzazioni criminali che ne ricaveranno ingenti guadagni illeciti e con i cittadini, impossibilitati ad andare all’estero, che ne subiranno tutte le conseguenze negative. Legalizzare invece vuol dire regolamentare e controllare, superare le differenze di classe, reclamare a gran voce la centralità dei diritti sanciti dalla Costituzione di piena autodeterminazione nelle scelte individuali. I cittadini lo hanno capito e sono sicuro, prima o poi, lo capiranno anche le classi dirigenti di partito.

Marco Gentili (Radicali Italiani)

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Una risposta

  1. admin ha detto:

    Questo, invece, l’articolo pubblicato oggi sul quotidiano locale.

    IL PICCOLO 14/08/2013 (pagina segnalazioni)

    Perché legalizzare l’eutanasia sarebbe una resa costituzionale

    Colgo l’occasione dell’intervento del segretario provinciale del Pd Štefan ‹ok sui temi del cosiddetto “fine vita”, che apprezzo per la posizione equilibrata e dialogante, per contribuire ad arricchire la conoscenza delle diverse sensibilità che, legittimamente, si ritrovano nel Pd, così come avviene in tutti i maggiori partiti italiani, di maggioranza e di opposizione. Inizio dal tema delle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) che, come già ben precisato da ‹ok, non vanno confuse o assimilate al tema dell’eutanasia. Si tratta infatti di dichiarazioni volontarie in merito a futuri trattamenti medici che una persona desidera ricevere o non ricevere: il medico deve tenerne conto qualora il paziente non sia in grado di esprimere la propria volontà, ma senza essere obbligato ad agire contro la sua scienza e coscienza, e avendo il diritto e dovere di non impartire trattamenti finalizzati a sopprimere la vita.

    Così afferma la Convenzione di Oviedo su diritti umani e biomedicina, ratificata in Italia con legge n. 145/2001, e in questa direzione va il parere del Comitato nazionale di bioetica del 2003. Su questa linea, anche grazie all’attento confronto promosso dal Pd di Trieste, si è posta la mozione sulle Dat che in consiglio comunale, nel 2012, ha registrato il consenso più ampio da vari schieramenti: vi si è prevista, nell’ambito delle leggi vigenti, la possibilità di rendere la propria Dat, evidenziando che si rifiuta qualsiasi forma di eutanasia, perché lesiva della dignità della persona, e ogni dichiarazione atta a ottenerla, si rifiuta l’accanimento terapeutico, in quanto proseguimento di cure inutili e sproporzionate, si valorizza il rapporto di fiducia medico-paziente, e si auspica che siano evitate situazioni di abbandono dei pazienti o di isolamento delle famiglie che se ne prendono cura. Tale impostazione è ampiamente condivisa al livello delle più autorevoli istanze morali, religiose e filosofiche, pur nella vastità di argomentazioni e posizioni, e ricordando l’auspicio che il legislatore nazionale intervenga in materia; così anche il Documento sui diritti dell’Assemblea nazionale del Pd (luglio 2012).

    Invece, rispetto al tema delle Dat, la proposta di legalizzazione dell’eutanasia è tutt’altra cosa. Se tale proposta di legge ha ricevuto, anche a Trieste, l’adesione di alcuni esponenti del Pd e di altre forze politiche di centrodestra e di centrosinistra, vi sono altresì nello stesso Pd, a livello nazionale come a Trieste, molti iscritti che, come me, non la condividono, ritenendo che l’eutanasia non vada accolta nel nostro ordinamento. La Costituzione italiana (art. 32) considera la salute come “interesse della collettività”, oltre che come “fondamentale diritto dell’individuo”; analogamente, ritengo che anche la morte non può essere ridotta ad evento individuale, avulso dal contesto sociale e dall’ambito delle relazioni umane: è la stessa esperienza umana a dirci questo. E anzi, proprio in una comunità civile come quella italiana, così ricca di esperienze di solidarietà e di amicizia, emerge che il valore della vita che soffre o che è limitata viene concretamente e ogni giorno difeso con la vicinanza e l’affetto di molti, famiglie, professionisti, volontari.

    Sono proprio le migliori espressioni che operano nel nostro paese a dirci che nessuno deve rimanere indietro, e che una società pienamente solidale è quella che mette ciascuno nelle condizioni di poter vivere appieno la propria vita, pur con i limiti che essa, talora, può avere. Viceversa, legalizzare l’eutanasia mi sembrerebbe una resa, l’ammissione collettiva che la vita vale solo fino a che è efficiente e performante, che le relazioni umane nulla valgono, e che invece di fronte alle difficoltà ad ognuno alla fine rimane solo la possibilità, se vuole, di “farsi da parte”, in una sostanziale solitudine. Le scelte in materia competono al Parlamento, ma il confronto deve coinvolgere, nel rispetto reciproco, le sensibilità di tutti, senza vincoli di partito. Auspico che il dibattito futuro veda prevalere la ragionevolezza verso una posizione comunitaria della società italiana che privilegi lo stare assieme, il prendersi cura gli uni degli altri, le relazioni fra le persone e l’intrinseco valore della vita umana.

    Giovanni Maria Coloni
    * capogruppo del Pd al consiglio comunale di Trieste

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