Carceri inumane per i poveri amnistia strisciante per chi può

IL PICCOLO (Trieste) 17/01/2013 – Carceri inumane per i poveri amnistia strisciante per chi può

VALTER VECELLIO *carcere

Ha ragione il professor Mitja Gialuz quando, nel suo intervento apparso di recente su queste pagine, scrive: «Sarebbe semplicistico limitarsi a proporre l’adozione di un provvedimento clemenziale (amnistia e indulto)»; semplicistico e stupido. Ma né Marco Pannella né i radicali – credo vada riconosciuto – sono stupidi. Così come ha ragione ad auspicare che il tema delle carceri (e della giustizia in generale) entri nel dibattito pubblico in vista delle prossime elezioni politiche e noi, oltre ad auspicarlo, stiamo facendo di tutto perché ciò avvenga. Perciò gli chiediamo di essere al nostro fianco per raccogliere le firme per presentare la Lista “Amnistia, Giustizia e Libertà”. Abbiamo tempo fino a domenica e i punti di raccolta sono segnalati, per Trieste, sul sito radicalifvg.it. Per entrare ora nel dettaglio dell’intervento di Gialuz va detto che l’iniziativa politica per l’amnistia – Pannella e i radicali lo hanno sempre detto con la massima chiarezza, ovunque è stata data loro la possibilità di farlo – è solo il primo passo per quella urgente, “impellente” riforma della giustizia. L’amnistia si impone per due ragioni: la prima per decongestionare la drammatica e disumana situazione delle nostre carceri.

Cito dati ufficiali, forniti dal dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria: “I detenuti presenti nelle 206 carceri italiane sono 66.732. Di questi 26.552 sono in attesa di giudizio”. Almeno la metà, secondo le proiezioni del Consiglio Superiore della Magistratura, finiranno con l’essere dichiarati innocenti, estranei ai fatti a loro addebitati. Significa che stanno scontando una pena che non meritano; e la scontano in una situazione a dir poco allucinante: è lo Stato, insomma, che per primo che viola la sua stessa legge! Nelle nostre carceri sono rinchiuse ben 26mila persone più della massima capienza. E questo senza contare le decine di suicidi e morti per cattiva o mancata assistenza ogni anno. La seconda ragione è che l’infame situazione delle carceri è solo la punta dell’iceberg del più generale sfascio della giustizia italiana. Anche i tribunali e gli uffici giudiziari, sommersi da migliaia di procedimenti di ogni tipo e natura, sono al collasso.

Occorre “liberare” i magistrati dalle centinaia di procedimenti destinati comunque a “morire”, a finire carta straccia. Perché ogni giorno si consuma quella che si può ben definire amnistia strisciante, clandestina e di classe: è l’amnistia delle prescrizioni, di cui beneficia solo chi si può permettere un buon avvocato e ha “buone amicizie”; clandestina perché è tenuta nascosta, non se ne parla e non se ne deve parlare: sono circa 150mila i processi che ogni anno vengono chiusi per scadenza dei termini. Nel 2008, oltre 154mila procedimenti sono stati archiviati per prescrizione; nel 2009 oltre 143mila. Nel 2010 circa 170mila… Quest’anno si calcola che si possa arrivare a circa 200mila prescrizioni. Ogni giorno almeno 410 processi vanno in fumo, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla. I tempi del processo sono surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008; in tribunale da 261 giorni a 288; in procura da 458 a 475 giorni. Spesso ci vogliono nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale alla corte d’appello. Una situazione, a parte gli irrisarcibili costi umani, che grava pesantemente sui conti dello Stato.

I processi per ingiusta detenzione o per errore giudiziario nel 2011 hanno comportato risarcimenti pagati dallo Stato per 46 milioni di euro. L’esasperante lentezza dei processi penali e civili italiani costano all’Italia qualcosa come 96 milioni di euro l’anno di mancata ricchezza. La Confindustria stima che smaltire l’enorme mole di arretrato comporterebbe automaticamente per la nostra economia un balzo del 4,9 per cento del Pil, e anche solo l’abbattere del 10 per cento i tempi degli attuali processi, procurerebbe un aumento dello 0,8 per cento del Pil. Grazie al cattivo funzionamento della giustizia le imprese ci rimettono oltre 2 miliardi di euro l’anno. Per tutte queste ragioni i radicali chiedono e si battono per l’amnistia. Per mettere in moto quel meccanismo virtuoso che altrimenti resterà, come è rimasto finora, inceppato. La lista di “scopo” per l’Amnistia, la Giustizia e la Libertà ha appunto questo obiettivo. I radicali, Pannella offrono un’“agenda”, come si dice ora. C’è chi ha proposte migliori e alternative per uscire da questo sfascio? Al momento si sente solo un assordante silenzio…

* direzione Radicali italiani

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Una risposta

  1. admin ha detto:

    Di seguito l’articolo del prof. Gialuz a cui Vecellio si riferisce

    Il Piccolo 12/01/2013

    Carceri, l’Europa boccia l’Italia Dopo gli slogan ora le riforme

    MITJA GIALUZ *

    Nei giorni scorsi la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia a risarcire complessivamente circa centomila euro a sette detenuti per aver inflitto loro un trattamento inumano e degradante. Costoro erano stati costretti a condividere celle di nove metri quadrati prive di adeguata illuminazione con altri due detenuti, per un lungo periodo di tempo e senza la disponibilità di acqua calda. La condanna non è una novità. Già nel 2009 la Corte di Strasburgo aveva censurato il nostro Paese per aver leso la dignità di un detenuto, costretto a vivere in uno spazio inferiore a quello stabilito come minimo vitale dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura, ossia quattro metri quadrati. A seguito di quella sentenza e dei richiami del Presidente Napolitano, il Governo Berlusconi aveva varato un piano straordinario (il c.d. Piano carceri) basato fondamentalmente sulla costruzione di nuovi istituti e sull’ampliamento della detenzione nel domicilio.

    Il Governo Monti l’ha accompagnato con un “piano svuota carceri”, che ha esteso ulteriormente la reclusione domiciliare e ha previsto dei correttivi per evitare le detenzioni di breve durata. Il risultato è stato abbastanza deludente: sono usciti dal carcere circa 3.000 detenuti su 68.000, ma il tasso di sovraffollamento si è ridotto soltanto di tre punti, dal 151% del 2010 al 148% del 2012. Ebbene, la nuova pronuncia della Corte segna una sonora bocciatura, non solo di queste manovre, caratterizzate dalla logica emergenziale e da un approccio poco più che burocratico, ma dell’intera politica penale italiana degli ultimi lustri. Per la prima volta, i giudici europei hanno rilevato che vi è un problema strutturale derivante dal malfunzionamento cronico del sistema penale e ha assegnato all’Italia un termine di un anno per porre definitivamente rimedio a questa situazione.

    Nel frattempo, ha sospeso la decisione dei più di 500 ulteriori ricorsi presentati da detenuti in Italia. A questo punto, è auspicabile che il tema entri nel dibattito pubblico in vista delle elezioni politiche del febbraio prossimo. Nelle ultime campagne elettorali, la materia penale era stata al centro della discussione. Ma in un senso diametralmente opposto: si era strumentalizzata l’insicurezza dei cittadini, proponendo a più riprese una politica di “tolleranza zero”, poi puntualmente realizzata. Con il risultato che si sono riempite le carceri soprattutto di piccoli delinquenti recidivi, di stranieri e di tossicodipendenti. Questa volta il panorama è radicalmente mutato. Le forze politiche dovranno spiegare come intendono risolvere il problema strutturale del sovraffollamento, che hanno contribuito a generare con le politiche securitarie dell’ultimo decennio. Non potranno più nascondersi dietro agli slogan. Non sarà sufficiente dire “costruiremo nuove carceri”, perché i tempi dell’emergenza non lo consentono, né lo permettono le decrescenti risorse pubbliche. Per altro verso, credo sarebbe semplicistico limitarsi a proporre l’adozione di un provvedimento clemenziale (amnistia e indulto). Da solo, esso servirebbe certo a svuotare le carceri, ma sarebbe una misura provvisoria e inadeguata, com’è stato l’indulto del 2006. L’auspicio allora è che i partiti sappiano rispondere alla chiamata dell’Europa proponendo una riforma del sistema penale basata su tre pilastri.

    Anzitutto, la riduzione consistente del numero di reati, per alleggerire il sistema penale. In secondo luogo, la semplificazione della giustizia penale: con un processo più rapido i giudici non sarebbero più portati a ricorrere massicciamente alla custodia preventiva. Infine, il superamento della centralità della pena detentiva. La Costituzione italiana stabilisce che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e rieducazione significa anzitutto responsabilizzazione. Oggi il carcere non responsabilizza, ma umilia e incattivisce la persona che ha violato le regole basilari della convivenza. Per rieducarlo, più che sulla reclusione (in carcere o nel domicilio) sembra preferibile puntare – salvi i reati più gravi – sulle prestazioni di pubblica utilità e su attività di riparazione del danno in funzione di reintegrazione sociale. Grazie all’Europa, anche in materia di politiche penali, è finito il tempo degli slogan. Speriamo si possa finalmente aprire una fase di riforme.

    * Docente di Procedura penale Università di Trieste

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