I silenti urlano e non solo loro

Se uno va sul sito dell’Inps, trova ogni tipo di informazione riguardante la pensione: pensione di vecchiaia, di anzianità, di invalidità, pensione ai superstiti, indennizzi per cessazione attività commerciale, pensione di inabilità, pensioni supplementari, assegni sociali, fondo casalinghe, pensione sociale, invalidi civili, ecc. ecc. così come i contributi previdenziali che danno luogo a quelle pensioni: contributi accreditati, contributi figurativi, contributi da riscatto … però se mette le due paroline “contributi silenti” … niente, nada de nada, silente è pure la risposta del server. Queste due paroline non sono state inventate dai Radicali; già nel 1997 il “Corriere della Sera” pubblicò un articolo di Ivo Caizzi intitolato L’urlo dei silenti riferendosi a quelle persone che avevano pagato contributi senza raggiungere il periodo minimo per far maturare la pensione e quindi l’articolo denunciava che tali contribuenti venivano penalizzati in quanto i loro contributi finivano per affogare nel sistema previdenziale pubblico, alimentando le pensioni di chi, invece, il diritto l’aveva acquisito. L’articolo denunciava che il nostro welfare era (ed è) una sorta di Robin Hood alla rovescia, che toglie ai poveri per dare ai ricchi.

L’articolo, infine, utilizzava una definizione alquanto ambigua del grande esperto di assicurazioni sociali, il compianto prof. M. A. Coppini che definiva tecnicamente silente “tutti gli assicurati che da almeno un anno non versano contributi e non si sa se continueranno a versarli”. Dico ambigua in quanto la definizione è tecnicamente corretta però può portare a considerazioni fuorvianti giacché sono moltissime le cause per le quali uno potrebbe non versare contributi e in effetti a detta del professore, nel 1995 i contributi erano oltre 11 milioni sul totale dei 20 milioni dei contribuenti del sistema Inps. Chiaramente, messa così viene da saltare sulla sedia. Il fatto è che moltissimi sono momentaneamente “silenti”, vale a dire tutti quelli che, pur contribuendo, non hanno ancora maturato la pensione. Tutti passiamo per un periodo nel quale siamo “silenti”, però è anche vero che sono pochi quelli che alla fine sono destinati a perdere completamente i loro versamenti.

E’ vero che nella giungla previdenziale italiana, colma e straripante di leggi, leggine, riforme, privilegi corporativi, non e’ facile definire quando il silente perde tutto. Nel vecchio sistema previdenziale retributivo (perché basato sulla media delle ultime retribuzioni), non aveva diritto alla pensione chi non aveva pagato almeno 15 anni di contributi (ora aumentati a 20 anni). Poi, la riforma Dini introdusse, per una parte dei contribuenti e per i nuovi, il sistema contributivo, basato sul principio di restituire quanto fosse stato effettivamente versato (naturalmente rivalutato). Per pensionarsi a 57 anni bastano infatti almeno cinque anni di contributi, ma solo se consentono una rendita pari a 1,2 volte l’assegno sociale. Quindi, solo chi ha effettuato ingenti contribuzioni potrebbe in teoria con pochi anni di versamenti, ottenere la pensione.

Poi ci sono tutti coloro che iniziano a pagare e non riescono a maturare il periodo di carenza, cioè il lasso di tempo nel quale non maturano diritti. Questo periodo è normalmente fissato in 5 anni in moltissime legislazioni. Quindi quando uno ha versato per 4 anni e 364 giorni ancora non ha maturato alcunché (è ancora “silente”); tuttavia con la contribuzione di un solo giorno in più, maturano i 5 anni e quindi si comincia ad aver diritto alla pensione e a tutti gli accessori della pensione, come la reversibilità, ecc. Ad esempio, se uno moriva (nel sistema retributivo) dopo aver versato contributi per 5 anni, la moglie aveva diritto di percepire una piccola pensioncina di reversibilità.

E’ vero pure che ci sono moltissime donne che hanno lasciato e lasciano prima di aver conseguito il diritto alla pensione perché devono occuparsi dei figli dato che lo Stato non fornisce i necessari servizi pubblici (asili nido, scuole a tempo pieno, assistenza sociale, trasporti, ecc.) alla madre che magari vorrebbe continuare a lavorare e non a fare la casalinga. Per non parlare dei silenti forzati, cioè di coloro che hanno perso il posto e restano disoccupati a tempo indeterminato o peggio ancora della condizione più brutta di tutte: quella di coloro che muoiono prematuramente, magari avendo una famiglia da mantenere. In questo caso silente è il morto ma anche il coniuge sopravvissuto che non avrebbe diritto a ereditare alcunché nonostante il marito avesse versato contributi. Con il sistema contributivo poi, questi casi diventano ancora più clamorosi, mettendo a nudo che il sistema assicurativo previdenziale ha ben poco di assicurativo in quanto elimina la solidarietà che sta alla base della sicurezza sociale.

Ha ragione Michele De Lucia quando dice che suonano particolarmente amare le parole del presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, che il 25 maggio scorso ha esordito a Palazzo Montecitorio la Relazione annuale 2011 con queste parole: “Il sistema previdenziale italiano, dopo quasi 20 anni di continui e prudenti aggiustamenti riformatori, può vantare, a detta di tutti i commentatori più autorevoli e delle Autorità europee, una stabilità finanziaria e una qualità invidiabile”. Al danno sembrerebbe aggiungersi la beffa quando Mastrapasqua aggiunge: “Un equilibrio e una stabilità conseguiti non a scapito delle giovani generazioni le quali, al contrario, possono guardare al futuro con maggior fiducia in quanto la loro pensione non è a rischio”.

Tuttavia c’è un problema ancora più grande dei contributi silenti, ed è quello riferito alle “Norme per favorire il reinserimento dei lavoratori espulsi precocemente dal mondo del lavoro”. Si tratta di un grosso problema che fu affrontato diverse volte e mai risolto. Già nella XIV legislatura ci fu un disegno di legge A.S. N° 1957 che non ebbe fortuna. Ormai sono oltre un milione gli espulsi precocemente dal mondo del lavoro. Ci sono molti siti ed organizzazioni che hanno denunciato questi problemi come ad esempio la ATDAL (Associazione per la Tutela dei Diritti Acquisiti dei Lavoratori) vedi www.atdal.it. Qualche anno fa, il presidente della ATDAL, Armando Rinaldi mi diceva che ormai gli espulsi dal lavoro non sono più solo i cinquantenni ma ci stiamo avvicinando paurosamente ai quarantenni e aggiungeva: “Siamo centinaia di migliaia di cittadini isolati, dispersi sul territorio, senza alcuna rappresentanza sindacale o istituzionale. A questa massa di diseredati, ignorati in quanto scomodi agli occhi dei politici, ATDAL vuole dare voce ed organizzazione, sostenendone le legittime rivendicazioni in tutte le sedi istituzionali e confidando che la propria iniziativa porti all’attenzione della pubblica opinione il dramma personale e familiare che siamo costretti a subire dopo una vita di lavoro.”
Gli espulsi hanno superato ormai il milione di unità. Anche i giornalisti Walter Passerini del Corriere della Sera e Rosanna Santanocito (responsabile dell’inserto Lavoro del Sole 24 Ore) se ne erano occupati assieme ad alcune associazioni come Lavoro Over 40 (www.lavoro-over40.it); la Federmanager (www.federmanager.it) e la Unionquadri (www.unionquadri.it) ma senza cavare un ragno dal buco.

Bisognerebbe inserire la battaglia radicale sui contributi silenti in quella più ampia dei diritti acquisiti allo scopo di far arrivare la pensione a chi non ha più lavoro e non lo trova perché questi lavoratori sono “troppo vecchi per lavorare ma troppo giovani per la pensione”. La stragrande maggioranza di queste persone hanno versato contributi per oltre 20 anni, ma non possono pensionarsi perché non rientrano in nessuna “finestra pensionistica” e devono aspettare di raggiungere i 65 anni senza uno stipendio e in quasi tutti i casi con famiglia a carico. Una vergogna, un obbrobrio, una oscenità di gran lunga più amara di quella dei contributi silenti. E la cosa peggiore è che questa gente risulta invisibile. Come Pannella con lo sciopero della fame. La loro dignità e la loro cultura media non gli permette di fare manifestazioni bruciando automobili e rompendo vetrine. Ma proprio perché pacifici, nessuno li bada, sono come il sole di inverno, illuminano senza riscaldare. Ricordiamo che questi contribuenti espulsi precocemente dal mondo del lavoro non chiedono affatto di venir pensionati come se avessero versato tutti i 35 anni: reclamano soltanto di ricevere la rendita vitalizia ridotta, equivalente al valore attuale dei contributi versati, pesata con i coefficienti di riduzione demografico/finanziari. Vale a dire che domandano di ricevere esattamente l’equivalente finanziario di quanto hanno versato. E’ tanto chiedere? Solo così si farebbe un vero atto di giustizia politica, sociale ed economica. Come diceva Nietzsche: Le cose grandi richiedono che se ne taccia o che se ne parli in grande: in grande significa: cinicamente e con innocenza. Solo i Radicali possono farlo.

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