Dai referendum liberisti del 1999 alle fabbriche del nordest che scappano, verso il Congresso di Radicali italiani

electrolux

Dichiarazione di Stefano Santarossa e di Michele De Lucia, tesoriere di Radicali italiani

Oggi i quotidiani del Friuli Venezia Giulia hanno lanciato l’allarme sulla probabile chiusura degli stabilimenti pordenonesi dell’Electrolux, con il rischio concreto della perdita di migliaia di posti di lavoro nel settore degli elettrodomestici in tutto il nordest. Oltre allo stabilimento di Porcia sono infatti a rischio quelli di Susegana (frigoriferi), Solaro (lavastoviglie) e Forlì (forni e piani cottura). A questi dati vanno sommati quelli di tutti i disoccupati che verranno dall’indotto delle subforniture. Oggi in gioco è la dismissione non solo di un intero stabilimento, ma di un intero gruppo, con la decisione di dire addio all’Italia.

Anche Dario Di Vico oggi sul Corriere della Sera se ne è accorto, e ha scritto che “A Pordenone quella che si teme è una totale delocalizzazione di posti di lavoro e cultura industriale a favore della Polonia (…), dove “esiste nella Bassa Slesia, alle porte di Wroclaw, un distretto degli elettrodomestici estremamente competitivo che ha attirato gli investimenti delle multinazionali e degli stessi svedesi e che appare il punto d’approdo più probabile dell’annuncio di McLuoghlin. Olawa è una cittadina di 30 mila abitanti che sta replicando il modello di sviluppo nordestino e già ospita una fabbrica Electrolux dalla quale ormai esce un milione di pezzi. Il punto di forza dell’industria polacca del bianco è rappresentato da retribuzioni operaie attorno ai 600 euro, grazie a un costo orario del lavoro di 11 euro contro i 24 italiani”.

Sergio Bolzonello, assessore regionale alle attività produttive ha individuato il nodo della questione affermando che “il vero elemento che potrà fare la differenza è la diminuzione del costo del lavoro, perché tra i 24 euro circa del costo orario in Italia e i 6,5 euro della Polonia c’è un abisso che ci vede perdenti”.

A più di dieci anni dai referendum promossi dai radicali per liberalizzare il mercato del lavoro, appare ancora più profetica la dichiarazione del prof. Rudi Dornbusch, premio Nobel per l’economia ed ex consigliere della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, che a proposito delle riforme necessarie per rilanciare l’economia in Europa, giudicava i referendum Radicali come l’unica proposta letteralmente rivoluzionaria nel panorama politico dell’Unione, menzionando esplicitamente i quesiti per l’abolizione del sostituto d’imposta, l’abolizione del reintegro per i licenziamenti (art. 18 Statuto dei lavoratori) e le trattenute sindacali. Noi radicali sappiamo chi furono i responsabili del fallimento di quei referendum, da Berlusconi a Cofferati, ed oggi il nostro Paese sta pagando care quelle mancate riforme.

In questi anni l’azione conservatrice dei sindacati e della politica, difensori a oltranza dei lacci e dei lacciuoli che soffocano l’economia e il lavoro nel nostro Paese, hanno portato ad una situazione per cui i precari italiani non hanno tutele paragonabili a quelle degli altri paesi dell’Ue e guadagnano anche meno della metà dei loro omologhi ad esempio tedeschi. Tutto per non aver preso in considerazione la riforma del contratto di lavoro a tempo indeterminato e del cosiddetto “diritto storico” del lavoro. I nostri referendum chiedevano le riforme economiche – più libertà di impresa, meno Stato nell’economia, flessibilità e autonomia contrattuale nel mercato del lavoro, meno spesa pubblica, rottura dei monopoli e liberalizzazione dei mercati.

Oggi i radicali dovrebbero ripartire a discutere tornando nel nordest: Nel 1999 si ritrovarono a Monastier di Treviso per incontrare il popolo delle partite IVA, della LIFE: con le risorse ottenute dalla vendita di parte del patrimonio, fu possibile intercettare per qualche tempo il consenso delle parti produttive del Paese, ed ottenerne il sostegno.

Si tratta di ripartire dalla tradizione di Ernesto Rossi, antesignano delle battaglie per la liberalizzazione economica nell’Italia repubblicana, per la liberazione del Paese dai monopoli e dalle rendite parassitarie.

La nuova sfida è di ripartire da iniziative sui temi economici, scegliendo città grandi e piccole (come Pordenone), chiamando a raccolta economisti e imprenditori, scongiurando la fuga delle imprese con un programma di riforme che abbia, tra le sue parole d’ordine: riforma del mercato del lavoro sul modello tedesco (facilitando da un lato l’ingresso nel mercato del lavoro con salari più bassi e contratti precari, dall’altro semplificarono la possibilità di licenziare da parte delle imprese); amnistia, referendum e riforma radicale della giustizia penale e civile, per fare in modo che le imprese rimangano nel nostro Paese e altre decidano di sceglierlo per i propri investimenti; riforma dello Stato e della sua burocrazia, con taglio e riqualificazione dei dipendenti pubblici, abolizione delle province, blocco degli investimenti per le amministrazioni spendaccione e colluse con la malavita, liberazione di risorse per i comuni virtuosi, quelli che oggi si vedono impossibilitati a investire a causa del patto di stabilità pur avendo i conti in ordine.

Pordenone-Roma, 26 ottobre 2013

Dal sito: www.radicalifriulani.it

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